Descrizione
Storia del Parco
Proseguendo la grande tradizione delle “delizie” ferraresi, gli Este non mancarono di dotare la loro dimora di villeggiatura di un ampio parco, “estensione vegetale” (Antonini) del palazzo stesso e inequivocabile espressione del potere e del prestigio ma anche della magnificenza e dello splendore del loro casato, allineandosi ai consueti obblighi di rappresentanza che a quell’epoca il proprio rango imponeva.
Almeno fin dalla fine del Cinquecento, come ben testimonia l’affresco di Cesare Baglione del 1596 raffigurante il Castello di Sassuolo, visibile all’interno della Sala delle Vedute del Castello di Spezzano, gli spazi sottostanti all’ala meridionale del maniero sassolese erano stati destinati dai Pio di Savoia a giardino “all’italiana”, dunque seguendo la moda del “piegare” la natura alla volontà e alla ragione dell’uomo: delimitando geometricamente uno spazio verde secondo la tradizione dell’hortus conclusus, delineandone ulteriori suddivisioni grazie ad assi viari rettilinei e ornandolo di essenze a cui le abili cesoie dei giardinieri, attraverso l’ars topiaria (con la quale si sagoma la chioma della pianta nella forma desiderata), avrebbero conferitoeleganti forme geometriche.
Il carattere formale di giardino “all’italiana” della zona verde presso l’ala meridionale del castello fu mantenuto anche dalla sistemazione promossa da Cesare d’Este, non appena rientrò in possesso del feudo di Sassuolo, all’inizio del XVII secolo, a seguito della morte di Marco III Pio di Savoia, ultimo signore di Sassuolo appartenente a questa famiglia.
La grandiosa ristrutturazione avviata sotto Francesco I d’Este, nel 1634, dall’architetto romano Luigi Bartolomeo Avanzini, che trasformò il castello in “delizia” signorile, conseguì notevoli interventi riguardanti anche le aree verdi, destinate allo svago della famiglia ducale e della corte, secondo un nuovo rapporto di “dialogo” con l’architettura degli interni, attraverso la presenza di logge, aperture e sistemi di raccordo tra i piani dell’edificio e quelli dei viridari. Un nuovo giardino, detto “piccolo” o “segreto”, riservato al ristretto godimento privato dei duchi, fu ricavato a nord, nello spazio compreso tra la nuova dimora di villeggiatura e gli spalti delle antiche mura castellane; spalti piantumati di vite e altre essenze al fine di coronarli di pergolati sotto la cui ombra poter passeggiare.
Grazie all’abilità dello scenografo e ingegnere idraulico Gaspare Vigarani, coadiuvato da suo figlio Carlo, poi, le acque del vicino Canale di Modena, derivate da quelle del fiume Secchia, poterono raggiungere sia la Peschiera sia le fontane, realizzate in gran parte su disegno di Gian Lorenzo Bernini e variamente dislocate nel complesso, meravigliando gli ospiti del duca e avvolgendoli col loro fragoroso sciabordare.
Antonio Loraghi completò l’intervento avviato da Avanzini nel parco vero e proprio mantenendo nei pressi del palazzo, pur riconfigurandole, le consuete aiuole formali delimitate da siepi di bosso e ornate di zampillanti fontane e alberelli ma introducendo una importante novità, testimoniata da un disegno del 1679: due viali alberati che si dipartivano dal giardino leggermente divergenti, uno diretto alle “berlete” di caccia el’altro verso la collina del Belvedere.
Solo alla metà del Settecento, quando Francesco III d’Este promosse nuovi lavori di ristrutturazione nel palazzo, su progetto dell’architetto e scenografo veneziano Pietro Bezzi fu completato il grandioso prospetto meridionale e con esso il sistema di scale e terrazze che permetteva di collegare il piano del cortile d’onore, sul quale si trovava una loggia a tre fornici abbozzata un secolo prima dall’Avanzini, con quello del giardino, ubicato a una quota inferiore. Vasti ambienti destinati a limonaie furono ricavati nelle arcate a sostegno delle scale e delle terrazze, mentre il corso del fossato castellano, che a quest’epoca ancora lambiva il prospetto meridionale, fu deviato in un elegante percorso sinuoso, destinato a separare il parco vero e proprio – che mano a mano sfumava prima nelle aree agricole poi nelle zone più selvagge a ridosso del fiume e delle colline, destinate alle battute di caccia – dal nuovo parterre “alla francese”, con l’ampia vasca della fontana centrale e un rabescato motivo decorativo vegetale di contorno.
È in questo momento che il parco, morbidamente adagiato a ridosso del fiume Secchia e circondato da una scenografica corona di colline, grazie ad acquisti ed espropri raggiunse la sua massima estensione: 10 km di lunghezza, dalle località Vallurbana a Magreta, dalle pendici collinari al corso del fiume. La notevole grandezza consentiva di aderire appieno ai nuovi modelli “alla francese”, proposti da André Le Notre prima a Vaux-le-Vicomte poi a Versailles.
A questi illustri prototipi si ispirò Bezzi organizzando il territorio mediante due ampi assi, tra loro paralleli e perpendicolari al prospetto meridionale, secondo un orientamento nord-sud: uno circondato da un doppio filare di pioppi cipressini, destinato a raccordare il palazzo col poggio del Belvedere, su cui Ercole III fece poi costruire la Kaffeehaus, l’altro indirizzato verso Magreta, al fine di raggiungere facilmente sia la Palazzina della Casiglia e il Parco dei Cinghiali sia le “berlete” di caccia.
Venduto all’asta dalle truppe napoleoniche, il grande Parco Ducale fu diviso in due: allo svizzero Jean-George Müller la Palazzina della Casiglia e i terreni a nord di Sassuolo, al conte francese Jean-Frédéric-Guillaume d’Amarzit de Sahuguet d’Espagnac il Palazzo Ducale, la Kaffeehaus del Belvedere e i terreni a sud di Sassuolo.
Del vasto parco estense oggi non rimane che un’area ridotta, a sud del Palazzo Ducale, che pure si connota come il più ampio spazio verde pubblico della città. Destinato esclusivamente alla coltivazione agricola nel corso dell’Ottocento, infatti, il parco fu parcellizzato a partire dal secondo dopoguerra e lottizzato massicciamente attorno agli anni ’60 e ’70 del Novecento.
Modalità di accesso
Accesso libero
Indirizzo
Contatti
Ultimo aggiornamento: 02-10-2023, 12:12