La Chiesa e il monastero di Santa Chiara
Già parte del Monastero di clausura di Santa Chiara, l’omonima chiesa fu fondata nel 1613 e la costruzione proseguì, tra molte difficoltà, fino al 1623. Pronto per essere utilizzato, il monastero restò tuttavia vuoto perché si negò i denaro necessario ad ottenere l’autorizzazione ecclesiastica alla clausura e solo nel 1629 il cardinale Coccapani, vescovo di Reggio, proclamò la clausura, benedisse la chiesa e il convento e diede il velo ad un gruppo di novizie. Nello stesso anno la donazione di 500 scudi da parte del nobile locale Paolo Teggia consentì la costruzione dell’altar maggiore. Il monastero, fornito di orti, giardini e pertinenze di servizio e sufficiente ad una quarantina di suore, venne soppresso nel 1798 a seguito delle leggi napoleoniche sugli istituti religiosi e subito candidato ad ospitare il ricovero per gli infermi, visto che i locali di Sant’Anna risultavano insufficienti, e nel 1801 iniziarono i lavori di adattamento alla nuova destinazione d’uso.
Dopo le soppressioni napoleoniche, il complesso di Santa Chiara, così come quello di San Giuseppe e quello di Sant’Anna, fu al centro di controversie di natura giuridica, cessate solo nel 1854, quando un atto notorio definì Sant’Anna e San Giuseppe di proprietà comunale mentre Santa Chiara passò alla Congregazione di Carità che gestiva l’Ospedale, lì ubicato fino alla costruzione del nuovo complesso ospedaliero di Rometta.

La storia della Chiesa e del Monastero, poi Ospedale Civile
Le prime notizie riguardanti il monastero di Santa Chiara si desumono da un documento senza data, ma presumibilmente antecedente all’anno 1610, in cui si propone di individuare un terreno adatto all’edificazione del complesso, confinante con proprietà che, qualora si fosse reso necessario, avrebbero permesso un futuro ampliamento. I lavori di costruzione furono avviati nel 1613, ma già l’anno seguente furono interrotti per mancanza di fondi.
Tra numerose difficoltà economiche, il monastero risulta abitabile nel 1623, quando madre Veronica Sozzi e le sue consorelle clarisse di Reggio Emilia ne prendono possesso, seppure non fosse ancora terminato il muro di cinta e nonostante l’opposizione della Comunità di Sassuolo, che riteneva opportuno privilegiare le vocazioni locali.
Solo nel 1629, però, il cardinale Coccapani, vescovo di Reggio, proclamò la clausura, benedisse la chiesa e il convento, mise il velo a un gruppo di novizie, il cui mantenimento era stato assicurato da alcuni lasciti giunti nel frattempo. Il medesimo anno, grazie alla donazione di cinquecento scudi del nobile sassolese Paolo Teggia, fu possibile terminare anche l’altare maggiore della chiesa “esterna” (attuale Chiesa di Santa Chiara). Compresa nel quadrilatero del complesso monastico, che secondo un documento del 1657 misurava quindici pertiche per ciascun lato, la chiesa era infatti composta da due parti, quella “esterna”, aperta al pubblico culto, e quella “interna”, ubicata nel coro retrostante l’altare maggiore, destinata alle monache e separata da quella esterna da una grata. 
Nuovi interventi di manutenzione al complesso si datano attorno al 1710, quando vengono sistemati pavimenti e coperture e ricostruito il muro del dormitorio, poi nel 1746, quando fu ricostruita la volta della Cappella di Sant’Antonio e restaurato il campanile. La grande tela con Cristo in croce coi dolenti, la Maddalena, santa Teresa d’Avila e san Giovanni della Croce, dipinta sul finire del XVII secolo da un artista emiliano e che l’iconografia dei santi raffigurati fa supporre provenire da una chiesa o da un convento dell’Ordine del Carmelo, fu collocata nello scalone probabilmente attorno agli anni Ottanta del Settecento. Poiché la cornice in stucco, entro cui era stata sistemata, partecipa del gusto barocchetto del Settecento emiliano, è ipotizzabile che la tela sia stata levata dalla sua ubicazione originaria con le soppressioni ducali e collocata sulla scala del monastero sassolese entro la fine del secolo, quando compare nell’elenco delle opere rimaste invendute a seguito delle soppressioni napoleoniche (al fine di garantirne la migliore conservazione, il 5 febbraio 2010 l’opera è stata trasferita in deposito temporaneo al Palazzo Ducale di Sassuolo). I turbinosi venti giacobini, infatti, avevano soppresso il monastero e affidato i suoi beni alla municipalità di Sassuolo, intenzionata a trasferirvi l’ospedale, già insediato nel complesso seicentesco di Sant’Anna, restaurato e ampliato per tale destinazione alla metà del Settecento dal duca Francesco III d’Este, ma oramai insufficiente per le mutate esigenze della comunità sassolese. 
Nel 1801, quindi, il nuovo ospedale inizia la sua attività di ricovero e assistenza nei locali dell’ex monastero di Santa Chiara di contrada Case Nuove (attuale via Ciro Menotti), dove pure era stato collocato il Monte di pietà, istituito nella seconda metà del XVI secolo da Ercole Pio di Savoia. Al fine di riunire in un’unica amministrazione l’ospedale, il Monte di pietà e tutte le altre opere pie cittadine, fu istituita la Congregazione di Carità. Già nel 1815, tuttavia, si avverte la necessità di ampliare gli spazi destinati alla degenza, dando avvio alle prime modifiche dettate dalla nuova destinazione d’uso che, però, a poco a poco, porteranno al progressivo pressoché totale stravolgimento dell’assetto architettonico originario. Si segnalano interventi edilizi, infatti, tra il 1819 e il 1820; tra il 1850 e il 1851, sotto la direzione dell’ingegner Cionini; nel 1853, con l’ingegner Burgi, quando si provvede al consolidamento della volte dell’infermeria e al tamponamento di alcune finestre; ancora tra il 1856 e il 1857, quando i locali su contrada Case Nuove vengono adattati a botteghe e si interviene ad ampliare di una campata il fronte principale; nel 1859, con la chiusura di cinque finestre del corridoio; poi nel 1861, 1871 e 1891, con lavori di manutenzione ordinaria.
Al 1903, invece, risale l’abbattimento del muro di cinta, mentre gli interventi edilizi che avrebbero stravolto e occultato quasi completamente l’originale assetto architettonico del fabbricato, iniziarono a partire dal 1950, quando furono sopraelevate le tre “maniche interne”, si costruirono due nuove ali nello spazio degli ex orti delle monache e furono edificate le superfetazioni ancora oggi visibili in quello che era l’antico chiostro del monastero.

La facciata della Chiesa
La facciata, restaurata recentemente, è collocata in asse longitudinale con il prospetto del convento che domina, nella sua severa monumentalità, un lato della via Menotti, ed è caratterizzata da due grandi lesene terminanti nella lineare trabeazione superiore. Il portale, che riprende la partizione architettonica dell’insieme del prospetto, ovvero due lesene che sorreggono una trabeazione sormontata da un timpano triangolare, è coronato da una grande finestra polilobata che illumina l’unica navata della chiesa. Le modifiche sopportate dalla struttura sono relativamente insignificanti. Nell’Opuscolo del Cappellano Saccani, dei primi anni del 1900, si legge che l’edificio ha mantenuto forma e struttura dell’originaria chiesa delle monache di clausura. Unici elementi non più visibili sono le decorazioni pittoriche delle lesene, dipinte con festoni e candelabri, che originariamente decoravano la facciata L'interno della chiesa All’interno dell’aula rettangolare, il ritmo delle pareti è scandito da lesene di ordine composito che sostengono un ricco cornicione in stucco con modanature e tralci di foglie. Tale fregio crea, nella sua funzione decorativa di raccordo tra i vari elementi architettonici, un frastagliato movimento nello spazio, come un vivace gioco di linee e volumi che si rimandano vicendevolmente.
A movimentare maggiormente il semplice ambiente contribuisce l’uso delle colonne libere, tanto care al classicismo scenografico di matrice emiliana, che nel presbiterio, in cui la ricchezza di ornato risulta più articolata grazie alle grandi mensole e ad altri elementi aggettanti, vengono a connotarsi come i sostegni di un sorta di grandioso baldacchino, che conferisce maggiore enfasi a questa parte dell’invaso. I due altari laterali, unitamente alla cupola a calotta ellittica che sormonta in questo punto la navata, genialmente e originalmente sostenuta da quattro grandi mensoloni nei pennacchi, istituiscono una sorta di opposizione trasversale rispetto all’asse longitudinale della chiesa. Sulle pareti, nella zona sottostante al cornicione, si distende una sobria decorazione a modanature che circonda le aperture e integra il parato architettonico. Sulla volta, invece, le mostre delle finestre sono arricchite da un esuberante modellato di volute, cartelle e mensoloni. Sulla parete sinistra è inserito un quadro, con ogni probabilità proveniente dal vicino convento servita di San Giuseppe, rappresentante la Madonna Addolorata, datato 1714 e siglato «F.L.A.C.»: il padre servita Fra’ Ludovico Antonio Campioli. Nell’altare di sinistra, originariamente dedicato a Sant’Orsola poi a San Pietro d’Alcantara, entro una sontuosa cornice di legno intagliato e dorato simile a quella dell’altare di fronte, è conservato un Crocifisso processionale in legno intagliato e tela gessata, ridotto nella zona inferiore per l’adattamento all’attuale collocazione. Durante le soppressioni napoleoniche la famiglia Panini acquistò all’incanto il Crocifisso per farne dono alla chiesa stessa nel 1802. A metà dell’Ottocento può essere ricondotto il tabernacolo in scagliola a imitazione del marmo disegnato da Antonio Roscelli. Nel presbiterio è collocato l’altare maggiore, opera di fine intaglio databile al secondo quarto del Seicento. I 500 scudi per la sua esecuzione furono donati dal nobile Paolo Teggia nel 1629 mentre la presenza delle aquile intagliate sembra giustificare l’intervento di un membo della famiglia d’Este, probabilmente la duchessa. Progettato secondo un monumentale disegno architettonico, è sormontato da un ciborio a tempietto con le statue di Santa Chiara, San Bonaventura di Bagnoregio e dell’Immacolata, uniche superstiti di quel gruppo di cinque sculture ricordate fino alla metà del secolo scorso. La pala raffigurante la Madonna con il bambino, San Giovanni in gloria e santi Chiara, Francesco e Caterina da Bologna, è opera di Sigismondo Caula, allievo di Jean Boulanger nel cantiere del Palazzo Ducale di Sassuolo, ed è databile tra il 1701, anno della canonizzazione di Santa Caterina da Bologna, e il 1704, quando la tela è citata in una visita pastorale. Tra le scaffe e il quadro si apre la grata della clausura che assicura la comunicazione con il coro, detto anche “chiesa interna” riservato esclusivamente alle monache che potevano così seguire le funzioni senza essere viste. Alle due aperture ai lati dell’altare sono state adattate due porte settecentesche. Sulla parete sinistra del presbiterio si trova un dipinto raffigurante Salomè con la testa del Battista, copia del dipinto conservato ora al Museo di Rennes e commissionato al Guercino per la Camera dei sogni del Palazzo Ducale. Sulla parete opposta invece si trova La Pietà, copia della tela di Annibale Carracci ora al Museo di Capodimonte a Napoli. Entrambi i dipinti, eseguiti da artisti di modesta levatura e forse provenienti dal Palazzo Ducale, sono probabilmente coevi agli originali. La pala d’altare collocata sull’altare di destra raffigura la Madonna in gloria con Sant’Antonio e Santa Valentina, rara opera del pittore sassolese Antonio Paltrinieri, databile alla fine del Seicento. Sullo sfondo si distingue il profilo del Palazzo Ducale prima degli interventi del 1749. Nel sovrapporta di destra è un San Pietro d’Alcantara, opera di autore emiliano della fine del Seicento. 

Bibliografia
Lorenzo Lorenzini, La Chiesa di Santa Chiara, in «QB – Quaderni della Biblioteca», 2 (1996)
Elisabetta Sambo, I dipinti della chiesa di Santa Chiara: un patrimonio artistico non ancora conosciuto, in «QB – Quaderni della Biblioteca», 5 (2003)
Lorenzo Lorenzini, Altre note sugli arredi della chiesa di Santa Chiara: due pregevoli cornici in legno dorato e la pala d’altare di Antonio Paltrinieri, in «QB – Quaderni della Biblioteca», 5 (2003)

Per la visita
Per la visita contattare la Parrocchia di San Giorgio (tel. +39 0536 881302).